Fin dall’inizio della mia avventura con il patcwhork, la maggior parte dei lavori che ho cucito è stata a forma di pannello murale.
Ho completato un quilt copriletto matrimoniale, delle copertine per bambini appena nati, dei lunghi centrotravola. Ma ho sempre preferito i quilt da appendere.

Se una tela viene posta su un muro, è il caso che sia dotata di un titolo, giusto?

I miei quilt sono spesso astratti, ma per la mente è facile individuare una figura che emerge dall’insieme dei segni astratti. Spesso scelgo un titolo che rispecchia quello che vedo spuntare nel quilt, già in corso d’opera o a fine lavoro, e sicuramente non prefisso idee iniziali: perchè non sottolineare le sorprese che il metodo improv ci può riservare?

Presto mi sono resa conto che i soggetti intuiti in uno schema astratto da osservatori diversi, possono essere i più vari: sia vicini al mio titolo, che distanti ed aperti ad altre possibilità. Per questo motivo, ho iniziato a cucire, in fase di quiltatura, le visioni evocate dalle persone che hanno visto il mio lavoro, e lo hanno commentato anche prima che fosse finito. Questo scambio vivace, che mi incoraggia, diventa innestato nel quilt sotto forma di corsivo fatto di filo, anche se il titolo definitivo avrà una parola sola.

In altre occasioni ho fatto scelte più ardite.
Riguardando i miei primi quilt, mi è capitato di ricordare quello che stava succedendo nei giorni in cui li preparavo. Avevo provato questa esperienza anche con i disegni, compresi quelli fatti da ragazzina, e con le fotografie, magari scattate anni fa: erano in grado di far riemergere i ricordi del periodo in cui li realizzavo, compresi eventi che non avevano niente a che fare con il soggetto dell’immagine. A quel punto, mi è venuta voglia di lasciar briglia sciolta a queste associazioni mentali, e ho iniziato a fissare, nel titolo del quilt, un momento speciale avvenuto durante la sua composizione. In fondo, con un quilt, ci si può fare quello che si vuole, no?
Alcuni di questi titoli racchiudono memorie molto personali. Possono cristallizzare istanti magici. Come nel caso di “Marionette”. Questo nome conserva l’attimo fuggevole di un gioco che stavo facendo con mio figlio, in terrazza, dopo aver ritagliato dei personaggi di carta da tenere appesi ad un filo tenuto in mano. L’aria era frizzante, faceva vibrare le figurette come se fossero ballerine... saltellavano nel vento... sembravano vive! “Marionette” è diventato il titolo del quilt che stavo finendo in quei giorni, pieno di quadrati fluttuanti. Il legame tra i quadrati del quilt e le marionette danzanti si nota appena, ma quei minuti giocosi sono conservati per sempre, agganciati alla tela del quilt.

Titoli come questi sono meno rappresentativi dell’immagine visibile sul quilt, e diventano piuttoso espressione delle emozioni provate durante la realizzazione di quel pezzo. Certo che, se si inventano collegamenti azzardati, le conseguenze possono essere buffe.

Durante la composizione del quilt per la Orange Summer Challenge, sono andata in montagna per il weekend: era la prima vacanza all’aria aperta dell’anno, dopo mesi passati rigorosamente a casa. Ho incontrato degli amici, e abbiamo fatto una lunga passeggiata nel bosco. Verso la fine della gita, si stava facendo tardi, e l’unico modo per tornare indietro velocemente era attraversare a piedi nudi un tratto di fiume, dato che i ponti consciuti erano troppo lontani. Ho cercato un punto in cui l’acqua non fosse troppo profonda, e ho immerso le gambe. Il fiume era gelido! I piedi protestavano! Eravamo un gruppo di nove persone, con figli e parenti. L’età andava dai dieci mesi (di una bimba che stava ben asciutta sulle spalle della mamma) ai settant’anni (di una nonna che ha attraversato il fiume con passo sicuro e disinvolto!) Dopo i timori iniziali, è stata una gioia rialzare lo sguardo e ritrovarci tutti assieme, dall’altro lato del fiume. Premio finale, un buon pranzetto, nella locanda raggiunta appena in tempo prima che iniziasse a piovere!

Quando sono tornata a casa, ho finito di cucire le nove log cabin tondeggianti del mio quilt, e l’ho intitolato “Guado”: avevo un ricordo splendido da conservare con cura.

Qualche giorno dopo, nel confrontarci sui lavori cuciti in quei giorni, Giovanna stava commentando la foto del mio ultimo quilt, e mi ha chiesto: “Dov’è il fiume del guado?”. Ho dovuto ammettere: “Nel quilt, il fiume non c’è”. Il soggetto astratto era flebilmente collegato alla storia, io ci vedevo il simbolo dei nostri nove visi radiosi, ma non avevo incluso nessun segno di fiume, e nemmeno i colori lo suggerivano: c’erano solo caldi arancioni... Giovanna ha insistito: “Intendevo: dov’è quel fiume, geograficamente”. Ho tirato un sospiro di sollievo: a quello, sì, sapevo rispondere! Adoro parlare dei fiumi della mia regione.

Forse, il limite delle intitolazioni bizzarre non l’ho ancora superato. Ma in fondo, quanti modi si possono inventare, per fare la scelta di un titolo?

 

Lasciarsi trasportare dalla composizione di tipo improv, a volte porta verso mete inaspettate. Questa è la storia di un cambio di destinazione.

Alcuni mesi fa, Giovanna ed io stavamo facendo quelle che, alla luce dei fatti di oggi, si potrebbero definire le prove generali dei giochi improv patchwork con colori condivisi tra più persone. Avevamo deciso di cucire entrambe un quilt che utilizzasse tredici colori (li avevamo scelti assieme), con l’intenzione di concentrarci in particolare sull’uso del verde.

Per controllare se i colori che avevamo fissato si abbinavano bene, Giovanna li aveva provati con un software che creava immagini di quadrati concentrici. Forse le immagini che mi aveva mandato mi erano rimaste in mente: fatto sta che il mio quilt è iniziato con una composizione a quadrati.

Le pezze si accumulavano sulla parete fino a raggiungere la misura decisa (un metro di altezza): ne avevo preparate a sufficienza per finire il lavoro, che si sviluppava da un angolo affollato di sinistra verso uno spazio più leggero sulla destra, come se il vento soffiasse via i blocchi di troppo. Praticamente, potevo dire di aver finito. Eppure, quando ero sul punto di unire le pezze, mi sembrava che i conti non quadrassero...

All’improvviso, la massa di pezze (che a quello stadio forse era ancora un po’ troppo indistinta) si suddivise in due gruppi meglio visibili e nettamente separati.
Era come se una cellula madre si fosse riprodotta in due cellule figlie, nel processo che in biologia viene chiamato “mitosi”...

E così, la strada dell’improvvisazione portò alla formazione di non uno, bensì due quilt. Che mi fecero un altro scherzo: non erano per niente focalizzati sul verde, anzi si erano ben vestiti di arancione (ma guarda un po’, l’arancione ci mette poco a diventar dominante, non per niente è finito nel nostro primo gioco condiviso pubblicamente...).

Quindi, per tornare alla sfida pianificata inter nos tra me e Giovanna, iniziai un terzo quilt. E stavolta lo feci davvero in verde come avevamo concordato. Ma questa, è un’altra storia...

Nella scorsa puntata, abbiamo lasciato Giovanna alle prese con una valigia da riempire e un po’ di strada da fare.

Cosa c’era in quella valigia?
Una scorta di quilt.
Tutti i quilt cuciti negli ultimi anni. Grandi, piccoli, mini quilt, top da finire, fili volanti...

Nel febbraio 2020, ci siamo incontrate a Trieste, raggiunta in treno da Giovanna che era partita da Mestre.
A casa di Paola, i quilt che uscivano dalla valigia di Giovanna sembravano non finire più. Era la prima occasione in cui ci confrontavamo sui lavori realizzati da entrambe, fino a quel momento.

Ma di che tipo erano questi lavori?
Quello che ci aveva fatte conoscere, era la comune passione per il Modern Patchwork, e per le creazioni di tipo improv. Avevamo riconosciuto delle similitudini nei nostri lavori e una volta accostati i quilt abbiamo invece visto quanto fossero diversi.
Uguali ma diversi. E’ questa l’essenza dell’improv? Sicuramente uno dei motivi per cui ci attrae. La libertà di lavorazione consente, nel tempo, di raggiungere un certo grado di personalizzazione.

Sfogliando diversi libri di improv quilters possiamo notare che quasi tutte, nell’introduzione, danno la loro spiegazione di cosa sia l’improv. Le parole sono più o meno le stesse, i loro lavori invece, sono completamente diversi tanto che, con un po’ di allenamento, è possibile riconoscere i quilt di ognuna di esse. L’uso del colore, delle forme, la composizione, la quiltatura… tutto diventa una specie di firma riconoscibile.

L’improv è, come tutto il modern patchwork, un movimento in continua evoluzione, ma anche una crescita creativa personale.
Noi siamo all’inizio di questo percorso, siamo in fase di studio e di scoperta. Mosse dalla curiosità e dalla passione, con questo spazio web cercheremo di contribuire a creare degli approfondimenti e di riunire altre quilter che vogliano intraprendere o approfondire questa modalità di fare patchwork.

Salve!

Il percorso che ha portato alla costruzione di questo sito è iniziato a cavallo del capodanno 2020, con l’incontro tra Giovanna e Paola, accomunate dalla passione per il modern patchwork di tipo improv.

Ci conoscevamo solo nel mondo virtuale: avevamo partecipato entrambe ad un gioco on-line dedicato alle composizioni patchwhork, l’ Improv Row by Row organizzato da Daria Blandina e Roberta Sperandio, and the sneak peeks of our work in progress suggested we had a similar taste for color choice.

Nel primo contatto telefonico, Giovanna era in montagna. Paola proponeva di iniziare un progetto assieme, che prevedeva un po’ di strada da fare tra luoghi diversi. Giovanna, complice il suo interesse per i viaggi, ha riempito la valigia. L’anno nuovo era alle porte, e i nostri gusti per la scelta delle stoffe da cucire, erano simili...

Ma cominciamo con le presentazioni.

A partire dal 1997, Paola ha esposto principalmente fotografie e disegni, in mostre personali e collettive. Il suo progetto di foto scattate al microscopio ha girato l’Italia per quattro anni, insieme ad iniziative di divulgazione scientifica.

Dal 2017 ha scoperto il modern patchwork, quale tecnica dalle ampie possibilità espressive, con cui ha realizzato pannelli murali che sono stati esposti presso l’Atelier dell’arte (in una personale intitolata “Doppio Trasporto”), e in mostre collettive (a Vicenza, in occasione della fiera Abilmente).

Giovanna ha inizialmente conosciuto e ammirato il patchwork durante un soggiorno negli Stati Uniti nel 2007. Nel 2016 si è avvicinata al modern patchwork, del quale ne apprezza principalmente la libertà di espressione creativa. La curiosità si è trasformata in passione, che si traduce in studio, ricerca e sperimentazione, spinta da una costante voglia di imparare e migliorarsi.

Ha esposto in mostre collettive nelle principali fiere del settore (Torino, Vicenza), e di associazioni (Treviso). Alcuni suoi lavori sono stati menzionati su blog e riviste di settore internazionali.

In questo sito raccoglieremo le nostre idee sull’improv, in particolare quelle che ci hanno portato a realizzare qualcosa assieme, e ad ampliare la partecipazione a questa avventura.

Il resto, nelle prossime puntate!